mercoledì 2 settembre 2009

Intervento sulla Radio Svizzera

al programma Modem si discute di Gheddafi

La piccola invasione del cantiere Libia

Articolo su Il Riformista

Tripoli - Sono giorni di festa per la Libia. Si è cominciato domenica scorsa con la giornata dedicata all’amicizia italo-libica, voluta da Gheddafi per festeggiare la ricorrenza di un anno dalla firma dell’accordo di Bengasi. Si è proseguito ieri con il vertice dei paesi dell’Unione africana e terminerà, ma è un modo di dire perche i festeggiamenti continueranno diversi giorni, con il quarantesimo anniversario della rivoluzione compiuta dal Colonnello il 1° settembre del 1969. Una Tripoli disseminata come mai dai cartelloni con il ritratto di Gheddafi e il numero 40, un vero marketing del culto dell’immagine, sta accogliendo in questi giorni migliaia di delegazioni con l’organizzazione tipica libica, poca programmazione compensata da grande disponibilità. Non sembra affatto un festeggiamento in tono minore quello che si prepara ad accogliere sulla piazza Verde, ex piazza Italia, una folla oceanica pronta ad osannare Gheddafi, nonostante l’annunciata assenza di dei vari Sarkozy, Brown e Berlusconi, ma con la presenza di aerei, musici e artisti da ogni parte del mondo, Francia e Gran Bretagna comprese. Il Presidente del Consiglio era comunque presente domenica per la giornata d’amicizia in cui con il Leader libico ha inaugurato il primo tratto, poche centinaia di metri, della ormai famosa autostrada che dovrebbe essere costruita con quei 250 milioni di dollari annui che l’Italia donerà alla Libia a compensazione dei danni coloniali.
Il tono non sarà minore, non solo perché a Gheddafi non piacciono le mezze misure e rimane sempre “imprevedibile” (“ma non inaffidabile”) come l’ha definito Lamberto Dini in questi giorni, ma non lo sarà neppure perché dopo quarant’anni, forse veramente per la prima volta, la Libia di Gheddafi, un paese con poco più di 5 milioni di persone, ha conseguito lo status che il suo leader ha lungamente inseguito. È in pace con tutti, dopo aver mosso guerra a molti. È corteggiato da tante potenze mondiali nonostante le accuse di anti-democraticità del regime. Si è ricavato uno spazio geopolitico, l’Africa, in cui esercitare, con poche interferenze rispetto al passato, la propria leadership.
Due sere fa alla cena tenutasi nel parco del porto di Tripoli sedevano al tavolo non solo Berlusconi e Gheddafi, ma anche una ventina dei leader africani, tra cui quello senegalese Deby e il tunisino Bourghiba, oltre naturalmente ai principali dirigenti, come Scaroni dell’ENI, delle aziende italiane che in Libia fanno affari e, sperano, sempre più ne faranno.
Ma l’obbiettivo di Gheddafi appare anche quello di portare la piccola e media industria in Libia, quella più capace di creare le condizioni di fioritura di una piccola industria locale. Con questo scopo l’ambasciata libica in italia ha invitato a Tripoli a proprie spese una delegazioni di piccoli imprenditori, una folta compagnia che, chi con più esperienza e conoscenza del paese, chi con poca o nessuna, si accinge a guardare con curiosità e speranza ad un paese che si è riaperto all’occidente. Insieme ad essi anche molti italiani, circa 240 che furono espulsi da Tripoli nel 1970, e a cui Gheddafi, pare abbia promesso di ricompensare indirettamente con un trattamento privilegiato nell’assegnazione dei numerosi lavori di cui la Libia necessita.
Del passato però non si dimenticano i libici che domenica nella giornata dell’amicizia hanno inaugurato a Tripoli una mostra fotografica sul colonialismo italiano che non è stata apprezzata dall’ambasciatore italiano Trupiano. Gheddafi non può rinunciare ad una delle fonti principali di legittimità del regime in un paese che, prima dell’arrivo di Gheddafi, era pressoché privo di una identità nazionale che l’esistenza del “nemico esterno”, italiano o americano che fosse, ha contribuito a costruire. Questi ricordi però oggi non possono essere accompagnati da rivendicazioni politiche od economiche che il trattato dello scorso anno ha definitivamente escluso.
La sfida della Libia di oggi rimane quella dello sviluppo che mostra i suoi segni più evidenti nelle centinaia di cantieri, soprattutto di aziende edili cinesi, che stanno trasformandojavascript:void(0) il paese e nella presenza massiccia di stranieri che in essi lavorano. Basta andare a fare un giro nella medina tra le strette vie della vecchia città per incontrare intere zone popolate di sudanesi, ciadiani, eritrei, ecc… Non tutti vogliono venire in Italia, quasi tutti hanno saputo che la Libia ha chiuso i cordoni. Proprio domenica mentre Gheddafi e Berlusconi inauguravano l’autostrada una nave con 70 somali è stata bloccata dal pattugliamento congiunto messo in atto dalle due marine.

In quarant'anni il Colonnello Gheddafi ha cambiato faccia alla Libia

Articolo su L'Occidentale