martedì 10 febbraio 2009

7 anni dopo

"Le società civilizzate, almeno sembra, sono a tal punto assuefatte alla violenza, da aver perso il loro dono di essere disgustate dal male".
Il padre di Daniel Pearl.

lunedì 2 febbraio 2009

Intervista al Gen. Fabio Mini sul recente conflitto di Gaza

di Arturo Varvelli

Su ISPI ALERT
"Tre domande a Fabio Mini"
leggi sulle pagine dell'ISPI

domenica 1 febbraio 2009

Con Obama torna il vero american dream: l'indipendenza energetica

Su "Il Riformista" di oggi 1 febbraio 2009

di Arturo Varvelli
Il tema dell’indipendenza energetica lanciato in queste ore dal presidente Obama non è un tema nuovo. Soprattutto per gli Stati Uniti. La questione emerse negli anni cinquanta di fronte al continuo crescere della quota petrolifera che gli Stati Uniti importavano dall’estero rispetto alla quota prodotta internamente. Nel 1948, per la prima volta gli USA scoprirono di essere diventati un importatore netto di greggio; l’avvenimento esercitò un forte impatto sulla psicologia americana. Per gli strateghi il passaggio al nuovo status venne percepito come una perdita definitiva dell’indipendenza energetica, nonché della capacità di coprire quasi l’80 per cento del consumo europeo di prodotti petroliferi. Ma le responsabilità americane in quel periodo erano gravose. Con l’approvazione del piano Marshall, il congresso degli Stati Uniti proclamò il principio dell’autosufficienza petrolifera dei due emisferi, raccomandando che gli approvvigionamenti energetici europei fossero per quanto possibile rappresentati da fonti esterne agli Usa.
Nel 1959 il presidente Eisenhower, anche per le pressioni delle compagnie petrolifere “indipendenti” che operavano prevalentemente su territorio statunitense, cedette alla tentazione indipendentista con lo scopo di liberare la politica americana dalle costrizioni mediorientali. Venne approvato il Mandatory Oil Program che fissava un tetto massimo per le importazioni pari al 13 per cento del consumo interno. Ciò causò una serie di conseguenze: le “sette sorelle” furono costrette ad abbassare i prezzi del greggio sul mercato internazionale con il conseguente disappunto dei paesi produttori e l’aumento della conflittualità tra occidentali e paesi arabi. Il provvedimento non avrà successo. Gerald Ford e Richard Nixon ci riprovarono negli anni Settanta. Anche allora si voleva “raggiungere l’indipendenza energetica”, e l’autarchia produttiva sembrava la soluzione ottimale. Sia Nixon che poi Carter, nonostante i loro piani, si trovarono ad affrontare problemi enormi proprio in Medio Oriente. Nixon dovette gestire la crisi dello Yom Kippur, con il corollario della ritorsione anti-americana dell’Opec. Carter vide sbriciolarsi l’equilibrio dell’Iran, con i russi che entrarono in Afghanistan: una seria minaccia alle riserve del Golfo Persico.
Ma l’idea dell’indipendenza energetica non ha pervaso solo gli Stati Uniti. Prima di loro ci aveva provato la Germania nazista. Nel 1936 Hitler si lanciò in un piano massiccio per la costruzione di trenta impianti dedicati alla produzione di combustibili sintetici attraverso la reazione dell’idrogeno con il carbone. La leggenda della ricerca dell’indipendenza energetica alimenterà fantasie come quelle narrate nel film con Marlon Brando “la formula” in cui i tedeschi si impossessavano della formula segreta per un combustibile sintetico capace di soppiantare il petrolio. In verità tutti i combustibili sintetici si riveleranno troppo costosi e poco efficienti.
A tanti anni di distanza, le idee sembrano cambiate poco. Le idee dei vecchi presidenti sono sopravvissute a vari sconvolgimenti, tra la caduta dell’Urss e la rinascita cinese, per approdare tranquille allo studio ovale alla Casa Bianca. Obama vorrebbe sfruttare meglio le energie rinnovabili, e spingere per creare automobili più efficienti. L’indipendenza energetica sembra esser vista, da qualcuno, anche come soluzione per contenere il prezzo del barile. Ma ci sono molti dubbi che ciò possa funzionare. Il mercato dell’energia è mondiale, e se il prezzo del barile aumenta in Europa, lo fa anche negli Stati Uniti. Nei periodi di crisi l’America è stata tentata più volte dall’isolazionismo. È una tentazione che è riemersa prepotentemente anche nello scorso anno di campagna elettorale.
In realtà, come spiega bene Leonardo Maugeri in “L’era del petrolio” è un non-senso l’idea di “liberare” i paesi consumatori dalla dipendenza del greggio del Medio Oriente o quella di attuare strategie per passare a fonti energetiche diverse. In passato si sono sempre rilevati esercizi sterili poiché, nel mondo reale, il processo di sostituzione di una risorsa con un’altra è guidato da processi economici e non politici. Così è successo ad esempio con il passaggio dal legno al carbone e poi ancora dal carbone al petrolio. Questi si sono rivelati più economici e più efficienti dei predecessori e li hanno soppiantati. Il tentativo nazista non fallì dal punto di vista tecnico ma da quello economico. Rimane un’illusione l’idea che le decisioni politiche possano ignorare le leggi dell’economia. Si può investire maggiormente in ricerca ma i risultati di una politica che tendesse ad affrancarsi dal petrolio mediorientale avrebbe oggi soprattutto l’effetto di indebolire le economie di chi la attuasse. Né sembra poter contribuire a combattere il terrorismo limitandone i finanziamenti che derivano dai proventi petroliferi. Soprattutto oggi i paesi arabi non avrebbero problemi a trovare altri compratori.